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Onan nella terra delle Amazzoni

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Onan nella terra delle Amazzoni Empty Onan nella terra delle Amazzoni

Messaggio Da mordicchio Lun Feb 25, 2013 3:23 pm

Onan nella terra delle Amazzoni Amazzoni



Onan iniziò ad accarezzare il suo membro, delicatamente, ancora ed ancora, finché alcune impazienti goccioline iniziarono a zampillare fuori. “Devo fermarmi… Devo resistere…" pensò. Nascosta tra gli alberi Ippolita osservava il bel giovane, colpita dalla sua avvenenza...

La Colchide nella mitologia Greca era il territorio delle amazzoni, un popolo di donne guerriere la cui fama era giunta ovunque. Tra loro vigeva una forma di matriarcato, dove le fanciulle venivano educate sin dalla prima infanzia all’uso delle armi e della caccia, mentre ai figli maschi venivano fratturate le gambe e la braccia affinchè non fossero, da grandi, in grado di combattere, oppure venivano venduti ai mercanti di schiavi. Solo qualcuno, raramente, veniva liberato nel territorio e isolato dagli altri affinchè divenisse poi preda nelle loro frequenti scorrerie a caccia degli stessi, solo alcuni di questi prima di essere uccisi venivano abusati sessualmente. In questo caso il costume delle Amazzoni prevedeva l’uccisione del malcapitato subito dopo l’accoppiamento, l'unica alternativa per costoro era quella diventare schiavi di una guerriera di alto rango, solo queste, infatti, godevano del diritto di possedere un servo, e a differenza delle altre godeva del privilegio di potersi dedicare ai piaceri della carne. Ovviamente lo schiavo doveva essere giovane e forte e venire espressamente addestrato allo scopo.

In quel territorio viveva Onan uno splendido giovane, un ragazzo tanto bello quanto un dio sceso dall’Olimpo, infatti era nato da una relazione occasionale avvenuta tra suo padre con la Dea Teti la quale alla sua nascita l'aveva affidato al padre preferendogli un certo Peleo.

Onan aveva vissuto una tormentata adolescenza in seguito all’uccisione di suo padre per mano delle Amazzoni, Suo padre gli aveva raccontato tutto su di loro: gli aveva detto che le amazzoni consideravano il maschio un essere inferiore, una preda, una proprietà da utilizzare e sfruttare. Gli aveva raccontato di come il maschio una volta catturato, se non subito ucciso come preda di caccia, veniva portato nel loro accampamento per farne uno schiavo e obbligato a vivere nella più completa nudità indossando solo un collare di ferro attorno al collo ed una sorta di cintura di castità sugli organi genitali, l'utilizzo degli stessi era riservato alla guerriera cui apparteneva. Ricordati figlio, aveva sempre insistito, che uno schiavo incapace di servire la propria padrona anche sessualmente aveva due sole alternative, o essere consegnalo ad un'altra guerriera che lo avesse richiesto, oppure essere ucciso quale esempio per gli altri schiavi; in questo caso lo stesso veniva legato al ramo di un albero per una gamba, proprio come si fa per le prede delle battute di caccia, diventando il bersaglio umano delle arciere che, con molta maestria, lo trafiggevano con le frecce evitando accuratamente di colpire punti vitali. Una vera e propria gara di abilità che poteva durare molto a lungo. alla fine i corpi venivano bruciati sotto l'albero stesso. Per questo Onan, addestrato da suo padre, aveva imparato l’arte della masturbazione controllata in modo da mantenere l'erezione il più a lungo possibile, ogni giorno dedicava ore a questa pratica, si accarezzava il membro, lo portava alle soglie dell’orgasmo, per poi fermarsi e, poi, riprendere e così via. Una vera tortura!.

Onan nella terra delle Amazzoni Amazzoni-300x247


Immerso in questi pensieri Onan si avviò come ogni giorno al suo campo per riprendere il lavoro di aratura, ignaro del fatto che a poca distanza avanzava un gruppo di razziatrici guidate da Ippolita, Di lei si sapeva fosse bellissima e si raccontava che amasse circondarsi di ancelle alle quali ordinava la cura del proprio corpo al quale teneva moltissimo.

Il gruppo di Amazzoni era formato dunque da Ippolita e da altre quattro agguerrite compagne. Le guerriere si erano sfidate in una gara di abilità di tiro con l’arco: la vincitrice avrebbe avuto il diritto di priorità sul primo maschio catturato! Alla fine prevalse proprio Ippolita, e in preda all’eccitazione della caccia si erano velocemente messe in cammino, arrivando così nei pressi del campo dove Onan, all’oscuro di tutto, era occupato nel suo lavoro. Una volta individuatolo si appostarono fra gli alberi, in attesa del momento migliore per catturarlo. Onan, stanco e sudato, si mosse verso le sponde del fiume. Bevve avidamente quindi si spogliò della tunica. Un bagno ristoratore e poi, senza rivestirsi, andò a sedersi all’ombra di una quercia. Nella sua mente i soliti pensieri: “Se mai dovesse accadere il peggio, devo assolutamente sopravvivere, anche come schiavo. Non voglio essere usato e ucciso. Io voglio vivere! Da schiavo, ma voglio vivere! Con la mano iniziò ad accarezzare il suo membro, delicatamente, ancora ed ancora, finché al massimo dell’eccitazione, non divenne violaceo per lo sforzo. Quando fuoriuscirono impazienti le prime goccioline di sperma con grande sforzo si fermò... “Devo fermarmi… Devo resistere… devo..."pensò.

Nascosta tra gli alberi, Ippolita osservava il bel giovane, colpita dalla sua avvenenza. Mai aveva visto un uomo così attraente, mai aveva assistito ad una pratica di quel genere, mai ad uno schiavo era stato permesso di toccarsi, di darsi piacere in quel modo. Quella scena in qualche modo la turbava, si rendeva conto di assistere a qualcosa di nuovo qualcosa mai vista prima di allora infatti il volto del giovane non manifestava alcuna forma di piacere palesava invece sofferenza. Quell’uomo doveva essere assolutamente suo, esclusivamente suo. Raccomandò alle guerriere di agire cautamente, il ragazzo non doveva avere neppure il tempo di reagire. Diede ordine di catturarlo senza causare alcun danno a quel corpo perfetto. Obbedienti le Amazzoni si avvicinarono di soppiatto e lo ghermirono nudo così com’era. Gli legarono le mani dietro la schiena e, impastoiati i suoi piedi con una corda per impedirgli la fuga, lo trascinarono dietro ai loro cavalli, con una fune al collo, portandolo all’accampamento dove, dopo l’immediata applicazione di un collare collegato con una catena a due anelli di ferro chiusi intorno alle caviglie, fu portato nella tenda di Ippolita.

Onan se ne stava accovacciato all’interno della tenda dell’Amazzone, solo e in catene. Era vivo! La sua preoccupazione era ora quella di apparire disponibile e sottomesso, conosceva troppo bene la legge delle sue aguzzine, ed era cosciente del rischio che correva di essere brutalmente ucciso subito dopo l’accoppiamento. I suoi pensieri furono improvvisamente interrotti da un leggero rumore di passi diretti alla tenda. Era Ippolita impaziente di parlare col prigioniero. Non indossava più l’armatura di guerriera, solo un sottile lungo peplo bianco, molto scollato. trattenuto in vita da una particolare cintura. Scalza, il portamento sinuoso, niente a che vedere con la rude guerriera che l’aveva poco prima catturato e ridotto in catene.

“Dimmi il tuo nome giovane schiavo” chiese Ippolita avvicinandosi. Onan aveva colto nel tono della voce curiosità e interesse nei suoi confronti.

“Mi chiamo Onan” rispose abbassando lo sguardo sui piedi di lei.

“Alzati Onan.” La voce di Ippolita tradiva una certa emozione. Lo osservava intensamente: era affascinata da quel giovane, da quel bel corpo vigoroso, nudo e indifeso, che le si offriva con tanta umiltà!… E quello sguardo fisso sui suoi piedi la eccitava terribilmente…

“Sì, mia signora” rispose Onan alzandosi ma continuando a tenere lo sguardo basso: aveva sentito parlare di Ippolita, della sua bellezza e delle appassionanti cure che ella riservava al proprio corpo ed ai propri piedi.

“Puoi alzare lo sguardo Onan. Ma dimmi...“ Una profonda, strana sensazione, qualcosa che non aveva mai provato sino ad allora, la invase improvvisamente, nel momento stesso in cui i suoi occhi si specchiarono in quelli di lui! Ippolita si sentiva affascinata, quasi bloccata.

“Sì, mia signora?” rispose timidamente Onan, che a sua volta non riusciva ad abbandonare quello sguardo, anche lui perduto nella bellezza di due occhi incantevoli e di un viso dai lineamenti perfetti, simile a quello di una dea.

“Dimmi Onan…“ Ippolita si era ripresa dallo stato di torpore in cui era caduta, e la sua voce manifestava un certo imbarazzo.

“Vorrei sapere... conoscere il motivo di quelle carezze così intime che ti ho visto fare prima della tua cattura .“

“Mia signora…” Onan a sua volta imbarazzato rispose “si tratta di un’antica pratica tramandata di padre in figlio. Serve a tenere sotto controllo il piacere. “

“Per tutti i numi dell’Olimpo! Ma a che pro tanta sofferenza?” l’interruppe Ippolita.

“Semplicemente perchè il nostro desiderio più grande, mia signora, è quello di sopravvivere, e sappiamo che uno schiavo, perché ciò possa avvenire, deve essere in grado di non deludere la propria padrona. Ma il mio desiderio più grande ora, dopo esser stato catturato proprio da te, è quello di essere il tuo servo… a qualsiasi prezzo!”

Ippolita distolse a fatica lo sguardo da quello di lui era turbata ed imbarazzata, Oltretutto era ben consapevole del destino riservato ad uno schiavo che trasgrediva alle regole. Non aveva mai partecipato all’uccisione di alcun prigioniero, e non approvava quel genere di pratica. Inoltre Onan l’aveva conquistata e non intendeva perderlo. Decise in un attimo che egli divenisse il suo schiavo personale.In fondo lei era la sorella della regina le avrebbe parlato! E l’avrebbe convinta al suo ritorno dal viaggio verso Temiscira dove si era recata, sarebbe giunta all’accampamento quella sera stessa.

Non fu per niente facile per Ippolita convincerla: La Regina aveva intuito che c’era qualcosa di insolito in quell’accalorata richiesta, e non voleva ascoltarla, ricordandole che in genere il destino dei prigionieri, secondo le leggi, prevedeva la loro uccisione dopo l’accoppiamento. Ma la determinazione di Ippolita fu tale, che la regina finì per accordare alla sorella la proprietà del giovane.“Solo come tuo schiavo personale” le disse “e come tale, dovrà sempre essere trattato.”

Onan, secondo costume, venne pertanto affidato alle addestratrici per essere “iniziato” alla sua condizione di schiavo. La prassi prevedeva l’applicazione di un collare in ferro, collegato con una catena ad un anello in ferro stretto intorno ai genitali, l’anello doveva essere “adattato” alla base del pene in modo da impedirne l’erezione e l’uso da parte dello schiavo, agli schiavi infatti era negato ogni diritto al piacere sessuale. Le manipolatrici avevano anche il compito di insegnare allo schiavo tutte le regole comportamentali, nonchè l’arte del dare il piacere carnale alle rispettiva padrone.

Finta la settimana di addestramento Onan fu portato da Ippolita che attendeva con ansia quel momento. Si fece dare le chiavi delle catene, compresa quella dell’anello costrittore applicato al membro di lui, e appena fu sola liberò il giovane da quell’impedimento, lasciandogli però, memore di quello che le aveva detto la sorella, collare e cavigliere. Onan non credeva ai propri occhi! Il tocco delle mani di lei, cosi delicato sulle sue parti intime, la sua vicinanza, il suo profumo, il modo di fare deciso ma al tempo stesso sensuale lo eccitava incredibilmente… Mai nella vita aveva avuto contatti con una donna, sentiva il corpo e la mente percorsi da improvvise ed irresistibili piacevoli nuove sensazioni. Cercava, tentava con tutte le forze di controllare le sue naturali pulsioni senza alcun risultato. Era lì, nudo, in catene, di fronte ad una dea. Gli fu impossibile evitare un’incontrollabile erezione. Le ginocchia iniziarono a tremare per poi ineluttabilmente... cedere... e un attimo dopo potenti e caldi getti di sperma attraversarono inevitabilmente e prepotentemente il suo membro, schizzando sul pavimento della tenda.

”Perdonatemi mia signora” riuscì a sussurrare inginocchiandosi di fronte a lei, in un tintinnio di catene.

Ippolita, pur sorpresa, non era adirata, anzi, semmai compiaciuta di quanto accaduto. Anche per lei era un avvenimento nuovo tanto strano quanto insolito e inaspettato. Avrebbe sfruttato quella situazione per mettere alla prova il suo giovane prigioniero.

“Non temere“ disse “ ho finalmente potuto scorgere gioia nei tuoi occhi, e piacere sul tuo viso. Ora però sei mio schiavo e i miei schiavi non corrono alcun pericolo di vita… purché dimostrino devozione e sottomissione. Tu, Onan, sarai addetto alla mia persona .“

Il tono della voce di Melanippe era diventato amabilmente autoritario. La donna avanzò posando volutamente i piedi nudi sulle fresche tracce dell’orgasmo di Onan.

“Per questo ho deciso di affidarti la cura del mio corpo, dei miei piedi… del mio piacere. “

Onan attese che Ippolita si adagiasse sul giaciglio in fondo alla tenda e, ricevuto un inequivocabile cenno verso i piedi di lei, si mise in ginocchio nei pressi di quello. Quindi con molta dedizione e dolcezza, prese a baciarle e i piedi. Si concentrò esclusivamente su quei due candidi piedini: baciò ogni centimetro di pelle, leccò le loro piante sporche di terra e sperma, succhiò ognuna delle dieci dita, senza mai alzare lo sguardo verso la sua padrona, senza mai oltrepassare col tocco delle mani le sottili e bianche caviglie di lei. Docile e felice attendeva solo un gesto, uno sguardo, un ordine che lo conducessero oltre.

Sino a quel momento Ippolita non aveva mai provato vera attrazione per un uomo, le manipolazioni e la cura del suo corpo spettavano alle sue ancelle. Le tradizioni delle Amazzoni le avevano insegnato a considerare i maschi come una sottospecie umana di esseri senza cultura, emozioni o sentimenti: un genere da sfruttare e basta. Onan gettava lo scompiglio in tutte queste teorie, e quella notte Ippolita prese il piacere da uno schiavo come mai era successo prima.

Ordinò a Onan di toglierle il peplo: il tono della sua voce era deciso ma sensuale. Lui obbedì in silenzio, la sua mente era in subbuglio. Stentava a credere che quanto gli stesse accadendo fosse reale. Eppure la pelle candida e vellutata di Ippolita lo inchiodava a quel giaciglio con catene ben più pesanti di quelle che stringevano il suo collo e le sue caviglie. Con pochi cenni e bisbigli Ippolita guidò il suo schiavo verso i propri più intimi desideri: stabilì il percorso che dovevano seguire le sue mani e la sua lingua, i luoghi dove indugiare più a lungo. Lui eseguì con la massima attenzione le istruzioni della sua padrona, gesti che man mano si facevano più impazienti. Arrivato ormai all’inguine Onan poteva scorgere piccoli rivoli di umore scorrere lungo le bianche e delicate cosce di lei. Iniziò a leccare lentamente quel nettare, con cura, avvicinandosi sempre più alla sua sorgente nella quale indugiò a lungo con la lingua. Ippolita, ormai al limite, esplose finalmente in un intenso e liberatorio orgasmo come mai le era successo prima: torrenti di umori densi sgorgavano dalla sua vagina, come fiumi di lava incandescente che Onan conteneva a stento con la sua lingua. Crollò esausta sul giaciglio chiudendo gli occhi per qualche tempo. Il lieve tintinnio delle catene di Onan le ricordò che quel breve riposo era solo il preludio ad una lunga, lunga notte di piaceri.
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